4 novembre 2013

Evoluzione artistica da un anno a un anno e mezzo.

Un aspetto dell'educazione di nostra figlia a cui teniamo particolarmente è lo stimolo della creatività, componente fondamentale per affrontare problemi e trovare soluzioni nella vita.

Uno dei passatempi preferiti da Koko è disegnare e dipingere, perciò sfruttiamo il suo estro per raccontarle storie, personaggi, numeri, lettere e tutto ciò che è possibile trasferire su carta o su tela.

Questa è la sua evoluzione artistica a partire dai 13 mesi per finire a ieri (19 mesi): 



Primo disegno (13 mesi). Solo scarabocchi ad arco.




Secondo mese. Scarabocchi ad arco e qualche tentativo di cerchio.



Terzo mese. Scarabocchi circolari.



Quarto mese. Scarabocchi circolari all'infinito, sovrapposti tra loro.



Quinto mese. Forme circolari ordinate.



Sesto mese (fiori). Composizione ordinata.



Settimo mese (primo lavoro con tempere e pennelli).



Settimo mese (tempere e pennelli). Forme bilanciate, parzialmente sovrapposte.



Oltre a stimolare la creatività, disegnare e dipingere aiuta i bambini a:

1. sviluppare il controllo dei muscoli e la coordinazione.
2. aumentare l'autostima.
3. esprimere le proprie emozioni.
4. scaricare lo stress.

Divertitevi! :)



29 ottobre 2013

Luglio 2013: un mese in Giappone.

Prima di partire per il nostro primo viaggio in famiglia mi chiedevo: "quanto può essere importante per una bambina di un anno passare un periodo medio-lungo in Giappone e cosa può lasciarle un viaggio di questo tipo?".

Non riuscivo bene ad immaginarmi cosa avrebbe potuto assorbire mia figlia, così piccola, nell'intero mese di luglio. La curiosità non era poca.

L'itinerario da noi scelto è stato il classico mix modernità-antichità, tranquillità-frenesia, che offre il Giappone, iniziando da Osaka, dove vive l'intera famiglia di mia moglie, passando per Tokyo, dove sono la maggior parte dei nostri amici, e Hakone per un po' di relax.

L'aspetto più scontato è stato il rafforzamento del legame tra Koko e la nonna, il nonno, la cuginetta, gli zii e tutto il resto della famiglia, per il quale la comprensione del giapponese da parte della bimba è stata di fondamentale importanza. In poche ore Koko aveva già acquisito la scioltezza e la familiarità che ha con la nonna e il nonno italiano, mentre con la cuginetta si è creato un rapporto speciale, poiché le due tuttora sono ansiose di vedersi settimanalmente tramite Skype.

A Tokyo abbiamo passeggiato per lo Yoyogi Park per cinque minuti, prima che un diluvio ci costringesse a rintanarci sotto un chiosco, poi abbiamo fatto le ore piccole passando da un ristorante a un izakaya a Shibuya (nel frattempo la bimba si è addormentata), dove Koko ha scoperto che non solo mamma, babbo, nonna e nonna mangiano con le bacchette, ma anche tutti gli altri! E così anche lei ha provato, riuscendo con successo, incredibilmente.
Ancora oggi faccio fatica a crederci, ma ormai è un dato di fatto: a un anno e mezzo mangia anche con le bacchette.

Ad Hakone abbiamo passato due giorni in relax con visita al piacevolissimo Open Air Museum, attrezzato anche per i bambini più piccoli. Un posto molto consigliato.

E il resto? Tutto ciò che un viaggio lascia a una persona adulta, cosa può trasmettere a una bimba di un anno?

Nostra figlia ha mostrato molta curiosità per le semplici azioni quotidiane, imitando comportamenti e aspetti che ormai per noi sono pura normalità, come lo stare composti sul treno, non urlare in determinate situazioni ("i bimbi come te non lo fanno, vedi?"), camminare dritti senza intralciare il passaggio, mangiare composti senza distrazioni e tutte quelle buone maniere tipiche del Giappone e poco comuni dalle nostre parti in Italia.

Koko ha avuto la possibilità di confrontarsi con altri bambini, più o meno grandi, che rispetto agli italiani hanno diverse abitudini, comprendendo che determinati comportamenti sono un vantaggio in termini di indipendenza.

Soprattutto la bimba sembra aver capito che l'educazione che le sta trasmettendo la mamma ha un senso ben preciso, e che non è di certo l'unica al mondo che mangia il riso a colazione, che deve scendere dal seggiolone dopo aver detto "ごちそうさま", che mangia sul tavolo come tutti noi e senza giocattoli di mezzo, che non deve urlare per chiamare il babbo, ecc. ecc.

Insomma, Koko ha potuto verificare che c'è un'altra intera nazione che fa parte di lei e che i nostri sforzi serviranno a non farla sentire inadeguata.

Il Giappone è anche tuo, Koko.

13 settembre 2013

Mezz'ora di Pink Fong.

Ho accennato nell'articolo precedente al fatto che nostra figlia ha, da poco più di un mese, un nuovo passatempo, e questo risponde al nome di "Pink Fong".

Premetto che se si parla di binomio contenuti video - bambini al di sotto dei tre anni sono decisamente un talebano, tant'è che ad oggi raramente, per non scrivere "mai", accendiamo la televisione in presenza di nostra figlia e che mai mi sarebbe venuto in mente di piazzarla davanti a uno schermo a questa età.

All'italiano medio do certamente l'idea dell'estremista o dell'hippie, non lo so, ma in realtà sono molto legato alla tecnologia e in futuro offrirò contenuti video di qualità alla nostra piccola.

Il tema mi è caro, ho letto abbastanza, e quanto pare la visione della TV in sè per sè non è dannosa, a meno che l'esposizione non sia esagerata, però ciò che mi terrorizza è crescere una bambina teledipendente, dato che sono estremamente convinto del fatto che la TV, non l'elettrodomestico, ma i contenuti dei classici canali RAI e Mediaset, siano letteralmente il Male con la "M" maiuscola e un gigantesco cancro della nostra società. 

La mia mini-conversione, non verso la TV, ma a favore di un'app per iPad, parte da un fatto accaduto in Giappone: 
una domenica mia moglie invita a casa una sua vecchia amica, che chiamerò Yoshimi, con una bimba di due anni e mezzo.
Yoshimi è una di quelle mamme super accorte e maniache di ogni dettaglio in tema di educazione.
È una di quelle che muove ogni singolo passo in cerca della perfezione, che per la bimba acquista alimenti di qualità, vestiti di qualità, giocattoli di qualità, che segue alla lettera ogni minimo input pedagogico, ecc. ecc.

Nel suo estremismo risulta comunque una fonte di ispirazione, e a sorprendermi fu il momento in cui, durante la pausa tè, Yoshimi diede in mano alla sua bimba un iPad, che ovviamente Kayo (così chiamerò la piccola) padroneggiava con stile.

Tra le tante applicazioni "educative" installate sull'iPad, Kayo si mostrava decisamente attratta da Pink Fong, alché decisi di scaricarla sul mio dispositivo e controllare i contenuti in seguito, ben distante da mia figlia, nel mio bunker con muri spessi 60 centimetri.

L'app contiene alcuni contenuti gratuiti, ma un'esperienza totale la si può avere soltando acquistando uno dei tanti pacchetti disponibili, cosa che ho deciso di fare solo dopo aver testato l'effetto dei video su mia figlia.

Pink Fong è disponibile in coreano, cinese, inglese e giapponese, ed ovviamente sono le ultime due versioni quelle che ho installato sul mio iPad. Per entrambe le lingue sono disponibili pacchetti di video che contengono canzoncine mirate a imparare l'alfabeto, classiche canzoni per bambini (che in genere odio), nuove parole, nuovi balletti, e a famigliarizzare con animali e i loro versi.

Fa il suo lavoro? Magari è un po' presto per sbilanciarmi, ma tenderei a dire di sì.
Koko adora quella mezz'ora mattutina o serale durante la quale può guardarsi tutti i video disponibili.
Grazie all'interfaccia intuitiva, in un mese ha imparato a selezionare i video delle sue canzoncine preferite (ha le sue preferenze e va a periodi), ad usare di conseguenza l'iPad cliccando sulle icone e scegliendo tra la versione inglese e quella giapponese di Pink Fong, a ballare ogni canzone in modo diverso imitando i personaggi (bambini) dei video, e sorprendentemente ha imparato a dire "bubbles" (grazie al video in inglese della lettera "B"), a pronunciare qualche vocale e consonante a tempo di musica, e ad anticipare l'entrata in scena di qualche personaggio, ad esempio imitando il suono di un animale o scuotendo la testa dicendo "no" come fanno i bambini nel video in inglese della lettera "Q".

Importante: non la lasciamo MAI sola con l'iPad e facciamo in modo che lo guardi sempre in piedi e MAI seduta con la testa piegata verso il dispositivo (i bambini hanno la testa pesante: mai chinati in avanti).
Quando guarda i video in inglese è mio compito seguirla, stimolarla e commentare i video e le sue azioni in inglese, mentre quando usa la versione giapponese, a sostenerla c'è la mamma

Se oggi le chiedo "what sound do elephants make?", lei barrisce. Se dico "how do you dance this song?", lei balla a tempo di musica, e se esprimo una preferenza dicendo "babbo would like to watch the video of the iguana", lei molto spesso mi accontenta e preme sulla lettera "I".


Sorpreso? Non troppo, perché so bene che potenziale hanno i bimbi di questa età (18 mesi), ma vedere coi miei occhi con quanta facilità comprende le mie richieste in inglese e quanto ha di fatto appreso grazie a Pink Fong mi rende quantomeno fiducioso nei confronti della tecnologia mirata ai bambini e all'apprendimento della terza lingua (l'inglese) fin dalla tenera età, ancor prima di mandarla alla scuola (asilo) internazionale.

22 agosto 2013

Seconda lingua e attività divertenti.

È importante interagire costantemente col bambino in modo divertente e interessante utilizzando la seconda lingua, facendo in modo che tutto avvenga in modo naturale, giocoso, interattivo, divertente e connesso ad attività della vita quotidiana.

Inizialmente, quando le attività sono quasi esclusivamente passive, è possibile far parlare dei pupazzi, dei peluche, nella seconda lingua in modo che il bimbo capisca che la mamma non è l'unica al mondo a poter parlare il giapponese.
A casa nostra Totoro, Miffy, l'aereo peluche Alitalia, Lotte Bear, Pinnapo e tutti gli altri parlano giapponese, ma anche italiano, mentre alcuni parlano addirittura inglese...
Con loro abbiamo inscenato teatrini e inventato storie bilingui che Koko ha sempre ascoltato con interesse, a volte perplessa e a volte divertita.

Oltre a questo abbiamo anche passato del tempo a inventare canzoni con rime forzatissime e dalla trama improbabile, ma comunque di ottima fattura a giudicare dai sorrisi dell'interessata, specie se accompagnate da balletto. Tutto improvvisato, ovvio.

È chiaro che l'interazione con amichetti, cugini e fratelli può essere di grande aiuto, ed è quindi estremamente consigliabile passare del tempo all'estero per far sì che il bimbo giochi coi suoi coetanei, o quasi, usando la seconda lingua.

Noi siamo appena tornati dal nostro mese in Giappone e il tempo che Koko ha passato con la sua cuginetta anch'essa bilingue (giapponese e francese) è stato di fondamentale importanza: la cuginetta è un anno più grande e la nostra Koko cercava continuamente di imitarla, limando il gap, provando a pronunciare parole che aveva appena ascoltato. Così in breve tempo ha imparato a dire "ばば" (nonna), "じじ" (nonno), "暑い" (caldo). Con gli adulti non ha mai ricevuto un così grande stimolo e voglia di imparare.

Oggi nostra figlia ha quasi diciassette mesi e la sua attività preferita, oltre a ballare le canzoni di Kyary Pamyu Pamyu e le filastrocche di Pink Fong, di cui parlerò in seguito, è disegnare.
Ha preso in mano i pennarelli per la prima volta a tredici mesi ed oggi lo fa in media due volte al giorno, mattina e pomeriggio, su fogli 70x100 e con pennarelli lavabili Giotto be-bè, che straconsiglio per la qualità e per l'alta lavabilità.

Ha impiegato circa una settimana a imparare a stappare i pennarelli da sola ed impugnarli correttamente.
Inizialmente si sporcava molto, soprattutto perché li prendeva dalla punta, ma poi ha preso confidenza ed oggi si sente totalmente sicura e padrona delle sue creazioni.
Questa attività ci è stata di grande aiuto per l'insegnamento del giapponese perché spesso mia moglie e la bimba si ritrovano sul foglio 70x100 a disegnare; mia moglie le fa un leone e Koko imita il verso del leone, poi disegna un paio di scarpe, le chiede "これなに?" e Koko indica le sue ballerine, oppure la mamma fa il mio ritratto stilizzato e la bimba dice "babbo!". "じょうず!".
Da pochi giorni, invece, a volte disegna qualcosa, lo indica e dice "mamma!", "babbo!", "ばば!", ecc.

È un'attività divertente che la bimba ama svolgere anche per un'ora di seguito.
Voi genitori, però, fate i bravi e non preoccupatevi se si sporca. Al massimo vestite i bimbi con qualcosa di adatto, ma non toglietegli questa gioia e opportunità creativa solo per la paura che si sporchino. Seriamente: hanno grande bisogno di creatività e si può iniziare anche molto presto. I pennarelli lavabili sono, appunto, lavabili, non tatuaggi.

Se da una parte è importante che il processo di apprendimento risulti creativo, dall'altra è logico che mai dovrebbe essere negativo, minaccioso, o addirittura stressante.
Svolgete quindi attività che possano divertire tutti voi e mai forzare una situazione o correggere troppo il bambino, altrimenti si otterrà l'effetto contrario.


Divertitevi!

31 maggio 2013

Frequentare madrelingua è importante.

Dove abitiamo i giapponesi si contano sulle dita di una mano, e per noi frequentare persone madrelingua non è proprio semplicissimo. Mettiamoci poi che i nostri migliori amici e le persone giapponesi con le quali in passato avevamo legato di più hanno deciso di fare le valigie ed andarsene, chi tornare in Giappone e chi a New York, Amsterdam, Londra, ed ecco che in pratica oggi non abbiamo alcuna chance di relazionarci con giapponesi in Italia. È un peccato, ma non c'è molto da fare. Possiamo controllare i nostri spostamenti, non quelli degli altri.

In altre situazioni si potrebbero considerare soluzioni come babysitter e ragazze au pair, ma anche qua ci risiamo: dovi trovi una babysitter o addirittura una au pair giapponese se non vivi a Milano, Roma, Firenze? È difficile. E anche se fosse un'opzione, c'è da dire che convivere con una persona che di fatto è un'estranea, almeno inizialmente, non è proprio per tutti.

Ecco quindi che nel nostro caso i viaggi in Giappone e i contatti virtuali, tramite Skype, con i parenti di mia moglie sono diventati fondamentali, nonché l'unico modo per esporre nostra figlia alla seconda lingua parlata da persone in carne ed ossa.

Interagire con persone madrelingua è fondamentale per lo sviluppo comunicativo e linguistico, perciò non appena vi capiterà l'occasione di scambiare quattro chiacchiere o frequentare anche spesso conoscenti e amici giapponesi, coglietela al volo!

Se vi trovate in una grande città fate in modo di incontrare spesso i vostri amici giapponesi, specialmente se accompagnati da bambini con cui il vostro potrebbe giocare, e creare un ambiente entro il quale il vostro piccolo bilingue possa farsi un'idea concreta sull'utilità della seconda lingua. Con l'occasione potreste organizzare cene italo-giapponesi e scambiare opinioni con persone che vivono un quotidiano simile al vostro.

Fate così: da una parte i papà, da una parte le mamme, e in sala i bambini. :)

I nostri amici ci mancano da morire e non vediamo l'ora di incontrarli nuovamente nel nostro prossimo e imminente viaggio in Giappone, in un tour de force organizzato specificamente per immergere la nostra piccola Koko nel paese natale per la terza volta in quindici mesi.

1 maggio 2013

Più lingue anche grazie ai libri.


Come accennato in precedenza, esistono libri per qualsiasi età. Anche per i neonati.
Verso la fine del primo mese i bambini sono attratti dal contrasto luce/ombra, e per questo uno dei pochi modi per catturare la loro attenzione e intrattenerli, sfruttando l'occasione per esporli alle lingue, è proporre loro figure in bianco e nero e dai contorni definiti.

I neonati apprezzano le righe, le spirali e le scacchiere perché osservandole le vedono vibrare, ma qualsiasi forma nera su sfondo bianco, o viceversa, è in grado di catturarli. Noi per praticità e perché ci piace il libro come oggetto abbiamo acquistato "A Different Story" di Ronit Tal e "White on Black" di Tana Hoban, e per esperienza ve li consiglierei, però è chiaro che procurarsi immagini simili non è per nulla difficile, sia creando delle figure vettoriali al computer sia stampando uno dei tanti esempi che potete trovare online, tipo questo. Anche carta e pennarello è un'opzione.

Koko ha mostrato interesse verso questi libri fin da subito, osservando le figure, tenendo sbarrati gli occhi e ascoltando le nostre fantasiose descrizioni. Notata la sua propensione alla "lettura" (si fa per dire), nel frattempo abbiamo acquistato diversi libri di altro genere e per un pubblico un pizzico più maturo. Faccio riferimento a libri come "しましまぐるぐる", "みかんオレンジ" e "あかあかくろくろ" editi da Gakken in Giappone. Sono tutti libri con illustrazioni colorate e descrizioni onomatopeiche che nostra figlia ha divorato con gli occhi. "しましまぐるぐる", in particolare, gliel'ho letto così tante volte (traducendolo in italiano in "righe righe, gira gira") che ogni volta che lo vedo mi viene un senso di nausea. Spero sempre non lo prenda in mano chiedendomi di leggerlo...

Non so onestamente se esistano titoli in italiano sul genere. Noi in quei mesi ci trovavamo in Giappone e abbiamo fatto di necessità virtù, poi tornati in Italia ci siamo fiondati sugli Imparalibri della Pimpa, che consiglio vivamente a tutti i genitori di bambini intorno all'anno di età perché affrontano temi elementari come i colori, i numeri, lo spazio, e molto altro.

La soglia di attenzione dei bambini è molto instabile. Inizialmente può apparire altissima per poi crollare subito dopo, ma va detto che in media è molto breve, tanto che Koko a un anno difficilmente riesce a resistere per l'intera durata di un libro, a meno che non sia cortissimo. Arrivati circa a metà ne chiede un altro, e poi un altro, e poi un altro. Abituatevi a questi ritmi perché è normale, augurandosi che in futuro si accontenti di leggere un libro alla volta.

Nota importante: quando il vostro bimbo sarà in grado di prendere in mano i libri da solo, cercate fin da subito di insegnargli a rimetterli apposto appena finito di sfogliarli.

Approfondirò il discorso libri in un altro post, scrivendo della nostra esperienza e di quali sono i nostri titoli preferiti tra quelli che finora abbiamo proposto a nostra figlia, sia in italiano sia in giapponese che in inglese.

È doveroso ricordare che in tenera età i libri svolgono una doppia funzione: la prima favorisce l'esposizione alle lingue, mentre l'altra forse è addirittura più importante, ovvero avvicina i bambini ai libri come oggetto, aiutandoli a familiarizzare con una fonte di cultura che potrà rivelarsi fondamentale in futuro. Non che l'uno escluda l'altro, ma è incoraggiante notare come oggi Koko quando vede un libro appoggiato da qualche parte lo indica sorridendo, come a chiederci di leggerglielo, mentre quando vede una TV, accesa o spenta, raramente mostra interesse. Non volete un bambino teledipendente? Bene, per nostra esperienza posso assolutamente affermare che i libri sono un sostituto più che ottimo in tutti i sensi.

A questo pro segnalo i "Prelibri", creazione di inizio anni '80 di quel genio di Bruno Munari, che oltre a rivelarsi utili sono un gran bell'oggetto di design. Dedicati a tutti i bambini che non sanno ancora leggere.

Chiudo proprio con una sua autointervista:

A – Che cos’è un libro?
B – Un oggetto fatto da tanti fogli, tenuti assieme da una rilegatura.
A – Ma cosa c’è dentro?
B – Di solito ci sono delle parole che, se fossero messe tutte in fila su una riga sola, questa riga sarebbe lunga chilometri e per leggerla bisognerebbe camminare molto.
A – Ma che cosa si legge in quelle parole?
B – Si leggono tante storie diverse, storie di gente di oggi o dei tempi antichi, esperienze scientifiche, leggende, pensieri filosofici o politici molto difficili, poesia, bilanci economici, informazioni tecniche, storie di fantascienza…
A – Anche favole?
B – Certamente anche favole, storie antiche, nonsense, limerick.
A – Con tante figure?
B – Certe volte con moltissime illustrazioni e poche parole.
A – Ma a cosa serve un libro?
B – A comunicare il sapere, o il piacere, comunque ad aumentare la conoscenza del mondo.
A – Quindi se ho ben capito serve a vivere meglio.
B – Spesso sì.
A – Ma la gente li usa questi libri?
B – Alcuni ne leggono molti, altri li usano per decorazione, c’è gente che ha in casa un solo libro: l’elenco dei telefoni.
A – Allora sarebbe utile che anche i bambini di tre anni cominciassero a familiarizzarsi con il libro come oggetto, a conoscerlo come strumento di cultura o gioco poetico, ad assimilare quella conoscenza che facilita l’esistenza.
B – La conoscenza è sempre una sorpresa, se uno vede quello che sa già, non c’è sorpresa. Bisognerebbe fare dei piccoli libri tutti diversi tra loro ma tutti libri, ognuno con dentro una sorpresa diversa, adatta a bambini che non sanno ancora leggere.
A – Posso averne uno anch’io?
B – Ne avrai una intera biblioteca, piccoli libri di tanti materiali diversi, di tante materie diverse: un libro di ottica, un libro di avventure tattili, un libro di geometria dinamica, uno di ginnastica, uno storico culturale, uno di filosofia, un romanzo d’amore, un libro pieno di tutti i colori, un libro trasparente, un libro morbido, un libro di fantascienza…
A – Ma come si chiamano questi libri?
B – I PRELIBRI.
A – Li voglio subito.

Bruno Munari, febbraio 1980

29 aprile 2013

Bilingue dalla nascita.

Ogni bambino viene al mondo con il grande privilegio di poter imparare qualsiasi idioma. 
Nei primi mesi di vita i neonati sono in grado di distinguere un’incredibile varietà di suoni in molte lingue, e tra questi suoni ce ne sono alcuni che gli adulti non sono più in grado di distinguere e/o pronunciare. Gran parte dei monolingua giapponesi, ad esempio, non sono in grado di distinguere e pronunciare l ed r

Studi dimostrano che questa abilità nel distinguere i suoni appartenenti ad una certa lingua si affievolisce quando il bambino raggiunge i dieci mesi di vita circa. È per questo motivo che è meglio decidere quale lingua insegnare al proprio figlio ancora prima che nasca.

Sia ben chiaro: il bilinguismo ovviamente non è compromesso se lo si introduce dopo i dieci mesi, ma dal mio punto di vista prima si comincia e meglio è.

Con Koko abbiamo adottato il metodo OPOL fin dalla nascita, impegnandoci a parlarle il più possibile nonostante né io né mia moglie siamo dei gran chiacchieroni. Gli esperti consigliano di parlarle di argomenti quasi del tutto casuali, purché si parli. Ammetto che questo per me è stato sempre difficile e non sono mai riuscito a comunicare con mia figlia come se fosse un mio amico di vecchia data, o una persona con cui parlare di sport e altri argomenti poco attinenti, se così si può dire, quindi fin da subito ho cercato di instaurare un rapporto padre-figlia basato sugli stimoli e sulla fiducia in se stessa.

Inizialmente colsi l'occasione per parlarle del mondo, dei posti che avrei voluto visitare con lei e la mamma, di quali animali vivono in Australia, di cosa mi aspettassi dalla Nuova Zelanda, di quanto è bello volare, di quanti bei posti ci sono in Europa, di quanto sono alte le giraffe, e l'ho sempre incitata a gattonare o a farle imparare cose nuove come se fosse una sfida, complimentandomi poi con lei ogni volta che riusciva o perlomeno ci provava.

Questi sono stati i miei argomenti, poi è chiaro che in seguito l'interazione è diventata più attiva anche da parte sua e comunicare adesso è più semplice, dato che in entrambe le lingue comprende benissimo domande come "è buono?", "hai sete?", "vuoi fare la capriola?" e nella maggior parte dei casi risponde o con gesti o con un secco "na" (no). In sintesi, la comunicazione è diventata molto più spontanea e naturale.

È fondamentale, però, parlare al bambini in modo sensato, il che significa essere il più possibile coerenti e chiari utilizzando vocaboli ed espressioni in uso nella vita comune. In questo senso la nostra regola numero uno è NO al "bambinese", quindi evitare di usare vocaboli come "tètte" (cane) e "bumba" (acqua), che di fatto non hanno alcuna utilità. O sì? Possiamo discuterne.

No al bambinese, quindi, ma parlare in modo naturale senza storpiare le parole e modificarne la pronuncia, tanto a quello ci penseranno loro in seguito. Se diranno "libbo" invece di "libro" va bene, ma l'importante per noi è continuare a parlare come sappiamo, altrimenti non faremo altro che assecondare questo difetto di pronuncia e prolungarlo più del dovuto.

In conclusione, un'altra situazione da evitare è modificare l'uso delle parole: che senso ha dire "cacca!" invece di "è sporco!"? Mistero.
Un bambino di un anno è in grado di capire circa settanta parole differenti, perciò non c'è bisogno di iper-semplificare tutto limitandosi a comunicare usando solo "pappa", "cacca", "pipì" e "ninna".

27 aprile 2013

Nascere in Giappone, crescere in Italia.


Nostra figlia l'abbiamo fatta nascere in Giappone per più motivi, primo fra i tanti il volerle trasmettere una marcata impronta giapponese. Al momento ancora non distingue le differenze tra i due mondi, o almeno non dà l'impressione di notarle.
Noi comunque a casa cerchiamo di bilanciare gli input culturali cucinandole pranzi e cene giapponesi, facendola interagire con vari peluche in giapponese, leggendole libri in giapponese o ascoltando un po' di musica giapponese, anche se Koko in fatto di musica ha già i suoi gusti e preferisce gruppi come Beatles, Velvet Underground, Led Zeppelin, ma anche David Bowie e Lou Reed. È decisamente sintonizzata sulla musica anni '60 e '70. 

Nel futuro più prossimo fornirle input culturali e conoscere i suoi interessi diventerà più semplice, ed allora saremo in grado di capire meglio cosa le piace, avvicinandosi al suo mondo. La televisione e i cartoni animati ad oggi non sono fra i nostri strumenti per connetterla al Giappone, poiché siamo dell'idea che creare un rapporto bimba-TV fin dalla nascita sia sbagliato e non necessario, però quando avrà circa tre anni lo schermo si trasformerà in un buonissimo elettrodomestico per guardare DVD e documentari di qualità.

Secondo: per motivi personali, ma anche per poterle favorire un eventuale futuro in Giappone, preferivamo prendesse il cognome della mamma. In Giappone è possibile: nostra figlia ha nome e cognome giapponesi, sia sui documenti italiani sia su quelli giapponesi. (Se il tema dovesse interessarvi e voleste fare altrettanto, non esitate a contattarmi in privato inviandomi un'email all'indirizzo bitrilingual@gmail.com chiedendo consigli).

Questo è stato il primo passo per immergere Koko nella cultura dell'altro paese, favorendo un legame tra lei e il Giappone, ma anche tra lei e la famiglia della mamma. Infatti, non ultimo tra i motivi per cui abbiamo preso questa decisione c'è l'aver voluto fare una sorta di regalo ai nonni e ai parenti giapponesi che, inevitabilmente, non potranno vederla molto spesso.

Saprete benissimo che in genere i giapponesi sono un tantino meno calorosi quando si tratta di famiglia, e farla nascere là è stato anche un modo per dire a tutti "hey, ci sono anch'io", creando fin da subito un rapporto famigliare che diversamente sarebbe stato un po' meno palese.

In Italia, al contrario, avrebbero suonato le trombe e organizzato banchetti un po' ovunque, per non parlare delle processioni di amici e parenti, in buoni o cattivi rapporti, che sarebbero cominciate all'ospedale per finire a casa nostra, magari mentre si allatta o quando si è stanchi e stressati. Ecco, noi abbiamo preferito evitare anche questa situazione e ci siamo presi tre mesi di vacanza ricevendo qualche sporadica visita dei parenti e degli amici più stretti di mia moglie.

Tornati in Italia ovviamente la bimba ha ricevuto le attenzioni di tutti, ma ormai Koko aveva tre mesi, era "grande", e lo stress iniziale per la mancanza di sonno e per il post-parto ormai era scemato. Per quanto ci riguarda, farla nascere in Giappone per tornare in Italia al compimento dei tre mesi è stata la soluzione ideale sotto tutti i punti di vista.

Ancor prima che lei nascesse e da quando io e mia moglie ci siamo conosciuti, in media siamo sempre tornati in Giappone una o due volte l'anno, e continuiamo a farlo anche adesso. Generalmente andiamo in coppia per uno o due mesi verso il periodo di giugno-luglio, mentre mia moglie torna a trovare i parenti anche a fine anno per due-tre settimane.

Il suo primo Capodanno, quindi, Koko l'ha passato in Giappone. Non è stato certo confortante notare che la bimba non ha riconosciuto una singola persona tra i parenti che pochi mesi prima l'avevano accudita e tenuta in braccio per ore, tuttavia non c'era da allarmarsi poiché Koko aveva solo otto mesi a dicembre.

In attesa del nostro prossimo viaggio estivo, abbiamo provveduto ad aumentare le videochattate con i nonni e la cuginetta, in modo che la prossima volta che torneremo la bimba riconosca almeno i suoi famigliari più stretti.

Poi col tempo tutto sarà più semplice, è naturale.

25 aprile 2013

Come.

Se tra le braccia avete un piccolo bimbo di pochi giorni o pochi mesi e siete intenzionati a fargli percorrere l'autostrada del bilinguismo, molto probabilmente adesso sarete ovviamente stanchi, magari un poco annoiati e forse anche un po' perplessi.

Non disperate: ci vuole un po' di tempo per verificare che il vostro approccio stia effettivamente dando dei frutti, e non è un caso se ho aperto questo blog a quasi tredici mesi di distanza dalla nascita di Koko. È chiaro anche che se siete in questo blog vi state interessando dell'aspetto linguistico, ma è altrettanto ovvio che l'approccio alla lingua deve essere favorito anche da un ideale contorno educativo che andrà a stimolare e a dar fiducia al futuro bilingue.

Visto che noi i primi frutti abbiamo cominciato ad assaggiarli, per esperienza personale e come ci è stato consigliato da altri genitori e testi non possiamo che invitarvi a seguire un po' di accortezze per creare un ambiente favorevole all'apprendimento della seconda o terza lingua:

Viaggiate il più possibile e fin da subito, se potete, preferendo chiaramente i posti dove le lingue che state insegnando a vostro figlio vengono parlate. Fategli assaporare spesso la cucina giapponese, se gli state insegnando il giapponese, leggetegli le storie classiche del posto, ditegli cos'è un samurai, o un ninja, comprategli uno dei tanti peluche che solo in quel posto potete trovare, interagendoci e facendogli parlare il giapponese, festeggiate le feste dell'altro paese, e così via. Insomma, dategli più stimoli possibili rendendolo curioso e voglioso di conoscere le proprie radici, sviluppando un marcato senso di appartenenza. Tuttavia viaggiare anche verso altre mete e allargare gli orizzonti culturali aiuta, e molto, a favorire un clima di accettazione del diverso, il che generalmente non viene preso troppo in considerazione da chi affronta questo tema, almeno a parole. Crescere bilingue, infatti, aiuta a comprendere più facilmente che non esiste un modo di pensare migliore o peggiore di un altro, ma che semplicemente esistono delle differenze.

Se siete una coppia mista, è molto probabile che i genitori di lei o lui si trovino nel loro paese di origine.
Visitateli una o due volte l'anno, se possibile, e fate in modo che sia un'esperienza piacevole. Videochattate tramite Skype, scambiatevi foto e create un legame coi nonni, gli zii e i cugini che vivono lontani.

Lo so, ogni tanto vi sentirete un po' sciocchi o vi chiederete "ma serve veramente a qualcosa?", però il tempo passa in fretta e arriverà il giorno in cui vostro figlio assocerà una vostra parola a un concetto, e quel giorno arriverà prima che voi immaginiate. In fondo non esistono controindicazioni, quindi parlate al vostro piccolo mostriciattolo più che potete in entrambe le lingue e in modo sensato. Evitate di parlargli in "bambinese": ha senso dire "bumba" invece di "acqua" e "tètte" al posto di "cane"? Voglio dire, vostro figlio sta già imparando due o più lingue... c'è bisogno di aggiungerne un'altra, che peraltro fra poco più di tre anni gli sarà inutile?

Esistono libri per ogni età. Esistono perfino libri per neonati, che generalmente sono semplici figure in bianco e nero da commentare al vostro bimbo. Koko fin dai primi tempi si mostrava decisamente attenta quando le leggevamo questi libri, poi quando ha imparato a distinguere i colori siamo passati ad altro, preferendo libri pieni di forme e illustrazioni colorate, con contenuti un tantino più interessanti anche per i più grandi. I bambini non sono tutti uguali, ma tenete sempre a mente che la loro capacità di attenzione/sopportazione è abbastanza bassa, per cui tali attività dovranno essere piuttosto brevi, per poi dilungarsi piano piano in futuro.

Se possibile, cercate di fare amicizia con persone madrelingua e che magari abbiano figli più o meno della stessa età del vostro. Lo so, non è così semplice se abitate sul cucuzzolo della montagna o in un paese di 380 abitanti, però Internet potrebbe rivelarsi di aiuto. Tuttavia il vostro partner avrà sicuramente degli amici nel suo paese di origine. Vorrà dire che la prossima volta che andrete in Giappone passerete un po' più di tempo con loro. Se abitate in grandi città ed avete bisogno di trovarvi una babysitter, provate a cercarne una che parli il giapponese. Facile, no?

Al 90% di noi non piaceva la scuola, quindi fate in modo che questo percorso somigli più alla ricreazione che al compito di analisi grammaticale. Divertitevi e fate un modo che questi momenti siano divertenti e piacevoli per tutti. Non sostituitevi agli insegnanti, bensì siate semplicemente dei bravi genitori che parlano più lingue.


Buon divertimento!

I prossimi post saranno dedicati alla nostra esperienza. Descriverò il modo in cui ci abbiamo affrontato la nostra avventura in questi primi tredici mesi, cercando di mettere in pratica i consigli descritti in questo stesso articolo.

23 aprile 2013

Perché bilingue.


Noi ci siamo sempre posti questo obiettivo, ancor prima che Koko nascesse.
Abbiamo cominciato ad interessarci all'argomento quando ci siamo sentiti pronti a diventare genitori e siamo sempre stati dell'idea che, se un giorno avessimo avuto un figlio, a lui/lei avremmo insegnato le nostre lingue col metodo OPOL.

Nel nostro caso questa è stata una decisione abbastanza scontata, poiché non avrebbe proprio avuto senso togliere la possibilità a nostra figlia di imparare la lingua della mamma e perché se mia moglie le avesse parlato in italiano, lingua che comunque padroneggia, non sarebbe stata in grado di esprimersi in modo totalmente naturale e, almeno dal mio punto di vista, un genitore straniero che comunica con il figlio adottando la lingua maggioritaria non fa altro che privarlo di un dono, se non addirittura arrecargli dei danni.

Per quanto mia moglie sia in grado di parlare in italiano, non si può certo definire madrelingua (è in Italia da poco più di sei anni) e visto che mia figlia avrebbe passato più tempo con lei che con me, un po' di timore che lei imparasse un italiano non proprio ortodosso, con i classici difetti di pronuncia e struttura di un giapponese, in effetti c'era.

Intendiamoci, questo tipo di timore non è proprio fondatissimo, dato che comunque col tempo Koko avrebbe padroneggiato l'italiano con estrema facilità frequentando amici di scuola, parenti e situazioni quotidiane come ognuno di noi.
Era semplicemente la combinazione italiano della mamma - bilinguismo pregiudicato a farmi rabbrividire, per cui questa opzione non l'abbiamo proprio mai presa in considerazione.

Tutt'oggi faccio fatica a capire chi per pigrizia o per altri motivi ha evitato di intraprendere questo percorso. Vedo mamme e papà stranieri comunicare coi loro figli in italiano, magari facendo fatica ad esprimere un certo concetto, e allora mi chiedo "perché?". Odiate il vostro paese e volete tagliare ogni piccolo legame con il vostro passato? Allora è ok, ma se la situazione non è così estrema, allora impegnatevi e fate un dono a vostro figlio, tanto l'italiano lo imparerà e diventerà in poco tempo la sua lingua principale.

Milioni di persone investono preziosi anni della propria vita per imparare una lingua che potrebbe poi favorirli nel loro percorso accademico o professionale, per poter scrivere in basso al loro CV "English: fluent". Quindi, se siete una coppia mista, fate un regalo a vostro figlio e fate in modo che oltre ad "Italian: native", nel loro CV un giorno potranno elencare anche "Japanese:", o la lingua del vostro partner, "native".

Se non siete una coppia mista pensateci comunque, perché crescere bambini bilingui, trilingui, quadrilingui, non è assolutamente impossibile!

20 aprile 2013

Perché trilingue.

Poco più di un anno fa è nata nostra figlia Koko, che non è il suo nome, ma chiamerò così per motivi di privacy, da padre italiano, che sono io, e da mamma giapponese.

Non credo ci sia bisogno di infierire sulla situazione politica, economica e sociale del Bel Paese che ci ospita, per cui sintetizzo e mi limito a scrivere che la decisione di crescere nostra figlia trilingue (italiano, giapponese, inglese) è innanzitutto la chiave con la quale vorremmo aprirle le porte non solo dei nostri rispettivi paesi, ma del mondo intero.

Il nostro obiettivo oltre ad essere linguistico mira anche a trasmettere una marcata impronta interculturale, mettendo in chiaro che l'Italia è il paese che per ora e molti anni a seguire ci ospita e ospiterà, ma che là fuori c'è un mondo con più di sette miliardi di persone e una marea di opportunità.

Avere dei propositi ambiziosi non è per nulla difficile, ma metterli in pratica magari lo è.
Lo scopriremo presto, però è chiaro che dovremo trasmettere la nostra voglia e stimoli a Koko con razionalità e senza mai mollare, facendo in modo che nostra figlia diventi una bilingue per quanto possibile bilanciata, e con un alto livello di comprensione della lingua inglese, consci del fatto che tutto dipende quasi interamente da noi e dalle nostre scelte.

Stiamo adottando il metodo OPOL (one parent, one language) e ad oggi Koko, non considerando "mamma" e "babbo", ancora non parla, anche se dal punto di vista della comprensione dell'italiano e del giapponese i risultati sono piuttosto incoraggianti: a circa dieci mesi già recepiva diversi comandi in entrambe le lingue, mentre negli ultimi due è decisamente migliorata arrivando ad associare parole e nomi a cose e persone con molta facilità.

Il giorno del suo compleanno mostrava a tutti il suo dito indice alzato quando le veniva chiesto "quanti anni hai?" o "何歳ですか?". Ora chiude gli occhi fingendo di dormire se le chiediamo "hai sonno?" o "眠いの?", ed imita il suono di una macchina ("naaa naaa, naa, naaaaa...") se le si chiede "come fa la macchina?" o "車どうするの?".

L'inglese al momento ha un ruolo secondario, nonostante io e mia moglie continuiamo a parlarlo tra di noi come idioma principale, mischiando nella conversazione alcune parole o espressioni delle nostre rispettive lingue.
Koko difatti ci rivolgiamo sempre in italiano o in giapponese, anche se ogni tanto le leggiamo qualche libro per bambini in inglese, giusto per darle un'infarinata di base e farla abituare anche ai suoni della terza lingua.

Stiamo considerando se mandarla all'asilo di una scuola internazionale a settembre 2014, quando Koko avrà circa due anni e mezzo. Abbiamo abbastanza tempo per valutare, ma l'idea è quella di farle imparare l'inglese a scuola, perferibilmente in una scuola con insegnanti madrelingua.