29 aprile 2013

Bilingue dalla nascita.

Ogni bambino viene al mondo con il grande privilegio di poter imparare qualsiasi idioma. 
Nei primi mesi di vita i neonati sono in grado di distinguere un’incredibile varietà di suoni in molte lingue, e tra questi suoni ce ne sono alcuni che gli adulti non sono più in grado di distinguere e/o pronunciare. Gran parte dei monolingua giapponesi, ad esempio, non sono in grado di distinguere e pronunciare l ed r

Studi dimostrano che questa abilità nel distinguere i suoni appartenenti ad una certa lingua si affievolisce quando il bambino raggiunge i dieci mesi di vita circa. È per questo motivo che è meglio decidere quale lingua insegnare al proprio figlio ancora prima che nasca.

Sia ben chiaro: il bilinguismo ovviamente non è compromesso se lo si introduce dopo i dieci mesi, ma dal mio punto di vista prima si comincia e meglio è.

Con Koko abbiamo adottato il metodo OPOL fin dalla nascita, impegnandoci a parlarle il più possibile nonostante né io né mia moglie siamo dei gran chiacchieroni. Gli esperti consigliano di parlarle di argomenti quasi del tutto casuali, purché si parli. Ammetto che questo per me è stato sempre difficile e non sono mai riuscito a comunicare con mia figlia come se fosse un mio amico di vecchia data, o una persona con cui parlare di sport e altri argomenti poco attinenti, se così si può dire, quindi fin da subito ho cercato di instaurare un rapporto padre-figlia basato sugli stimoli e sulla fiducia in se stessa.

Inizialmente colsi l'occasione per parlarle del mondo, dei posti che avrei voluto visitare con lei e la mamma, di quali animali vivono in Australia, di cosa mi aspettassi dalla Nuova Zelanda, di quanto è bello volare, di quanti bei posti ci sono in Europa, di quanto sono alte le giraffe, e l'ho sempre incitata a gattonare o a farle imparare cose nuove come se fosse una sfida, complimentandomi poi con lei ogni volta che riusciva o perlomeno ci provava.

Questi sono stati i miei argomenti, poi è chiaro che in seguito l'interazione è diventata più attiva anche da parte sua e comunicare adesso è più semplice, dato che in entrambe le lingue comprende benissimo domande come "è buono?", "hai sete?", "vuoi fare la capriola?" e nella maggior parte dei casi risponde o con gesti o con un secco "na" (no). In sintesi, la comunicazione è diventata molto più spontanea e naturale.

È fondamentale, però, parlare al bambini in modo sensato, il che significa essere il più possibile coerenti e chiari utilizzando vocaboli ed espressioni in uso nella vita comune. In questo senso la nostra regola numero uno è NO al "bambinese", quindi evitare di usare vocaboli come "tètte" (cane) e "bumba" (acqua), che di fatto non hanno alcuna utilità. O sì? Possiamo discuterne.

No al bambinese, quindi, ma parlare in modo naturale senza storpiare le parole e modificarne la pronuncia, tanto a quello ci penseranno loro in seguito. Se diranno "libbo" invece di "libro" va bene, ma l'importante per noi è continuare a parlare come sappiamo, altrimenti non faremo altro che assecondare questo difetto di pronuncia e prolungarlo più del dovuto.

In conclusione, un'altra situazione da evitare è modificare l'uso delle parole: che senso ha dire "cacca!" invece di "è sporco!"? Mistero.
Un bambino di un anno è in grado di capire circa settanta parole differenti, perciò non c'è bisogno di iper-semplificare tutto limitandosi a comunicare usando solo "pappa", "cacca", "pipì" e "ninna".

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